TEXAS, U.S.A. - Voci dal Braccio della Morte

          Ultimo aggiornamento: 25/01/2009
   

COSA DOBBIAMO PENSARE DELLA PENA DI MORTE
NEL CASO DI TIMOTHY McVEIGH?

(by Rev. Phil Wogaman)

Pastore della Fondazione Chiese Metodiste di Washington e professore al seminario di etica cristiana al seminario
Salt Lake Tribune, 28 aprile 2001

Anche quelli che si oppongono alla pena capitale sanno che se qualcuno merita di essere giustiziato, sicuramente lui lo merita. Nel deliberato e ben pianificato attentato al  Murrah Federal Building di Oklahoma City, uccise 168 persone, inclusi 19 bambini presenti nel centro diurno dell’edificio. Anche adesso, 6 anni dopo quel folle gesto, non mostra alcun tipo di rimorso – almeno stando ai due giornalisti  che l’hanno intervistato per 80 ore. Può esistere un caso migliore per sostenere la pena di morte?

Quello che è anomalo in questo caso è l’apparente contentezza di essere giustiziato. Riferendosi alla sua esecuzione come a “un suicidio assistito dallo stato”, McVeigh ha rifiutato di inoltrare qualsiasi appello e ha insistito perché l’esecuzione avesse luogo. Ora è prevista per il 16 maggio, e sarà la prima esecuzione federale dal 1963.

“Suicidio assistito dallo stato”? Giustiziandolo, gli stiamo dando quello che vuole? E se è così, cosa succede alla teoria che la pena di morte sia un deterrente? Nel caso di McVeigh, si potrebbe pensare che la pena di morte non fosse un deterrente ma un incentivo?

Questa idea può suonare strana. E gli studiosi della pena capitale hanno concluso che esiste questo meccanismo perverso – non in tutti i casi, ovviamente, ma abbastanza spesso da farci riflettere.

La stranezza di questo caso è ingigantita dal clamore che molta gente ha fatto perché venisse trasmessa alla televisione e potessero vederla. Si può al limite capire il desiderio di qualcuno dei familiari delle vittime uccise di vederlo morire. Qualcuno senza dubbio è convinto che questo possa dargli la pace. Io sono scettico sul fatto che la vendetta possa pacificare l’animo, ma non intendo giudicarli se ne sono convinti. A loro va la mia comprensione. Tuttavia, questa è un’ulteriore ironia. McVeigh stesso vuole evidentemente finire in televisione. Ha insistito sul fatto che se deve essere filmato a beneficio di poche centinaia di sopravvissuti, il filmato dovrebbe essere trasmesso all’intera nazione. Ho i miei dubbi sul fatto che abbia il potere di insistere su qualcosa, ma la sua posizione fa sorgere una questione. Supponiamo che lui, o chiunque altro, commetta qualcosa di terribile per ottenere una sorta di pubblicità personale con un’esecuzione. La pena di morte è diventata un incentivo anziché un deterrente?

Qualche oppositore della pena di morte ha sostenuto che  la diretta televisiva delle esecuzioni potrebbe fare crescere la pubblica indignazione. Sarebbe un terribile sbaglio. Potrebbe avere l’effetto opposto di brutalizzare la cultura popolare, dando a persone perverse il divertimento dello spettacolo della morte altrui. Succedeva a Roma!

Mettendo il più possibile da parte le emozioni, cosa mi sembra chiaro nello strano caso di McVeigh è che la morte esprime il non-rispetto per la vita. Questo è ovvio nel disprezzo dell’assassino per la vita delle vittime. Meno ovvio, ma non meno vero, è il disprezzo dell’assassino per la propria vita. Questo sembra evidente nel caso di McVeigh. Lui è preparato a morire – forse desidera morire – perché non vuole vivere. Anche assassini che uccidono per altri motivi, come guadagno economico, sembrano avere molto poco rispetto non solo nei confronti degli altri, ma per se stessi.

Il paese sembra interrogarsi sempre di più su questo problema ultimamente. Forse le chiese potrebbero mostrare la via. Nella Conferenza Generale delle Chiese Metodiste tenuta in maggio, l’opposizione alla pena di morte è stata ribadita con un margine del 97%. Una sorpresa,  alla luce dell’opinione pubblica americana, potrebbe indicare che si sta sviluppando una nuova posizione. In tutti i casi, la posizione della chiesa riflette un’analisi spirituale più profonda dell’emozione che si forma quando il pubblico è oltraggiato.

(fonte: Fondazione Chiese Metodiste di Washington)

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